domenica 23 dicembre 2012

CIRCUMSCRIPTIO PHEUDI TERRAE CELIARUM DEL GALDO (5)

Veduta della Chiesa Collegiata e del castello dal terrazzo di casa di mia zia
Continuiamo il percorso dei confini del territorio cegliese da contrada Giovanniello sino a contrada Campo Orlando.
«Ed albescendo il giorno 19 novembre corrente anno 1760 proseguendo  esso Magnifico Principalli le medesime antecedenti richieste a noi Reggj Giudice a Contratti, Notare e Testimonj, affinché prestato avessimo la nostra assistenza, intervento e presenza, alla continuazione della Misura e circoscrizione della circonferenza ed estenzione di detto Feudo di Ceglie, ci conferimmo alla Lama detta dell’Abbate Santacroce in territorio, pertinenze e distretto di detto Feudo di Ceglie, e propriamente nel principio d’un muro fabricato a crudo, che tira verso ponente, donde la sera antecedente c’eravamo partiti per essersi sospeso detto camino. Quivi trovatisi presenti li sudetti Magnifici Principalli e Lopresto, Procuratori ut supra, li Magnifici Vitale e Greco, colli stessi di loro periti e compassatori, volendo continuare il camino dallo stesso luogo, fecero riconoscere il segno dall’esperti lasciato. Ed in nostra presenza ritrovarono il detto muro col mucchio di pietre e segno di croce di frasche niente spostato, ma nell’istesso  luogo appunto, dove l’avevano situato. Quivi fissatosi lo squadro verso ponente per linea sopra muro, che è situato nel fondo della valle,  e fa argine il suo camino alla scoscesa della murgia, facendo passi 196 s’è arrivato ad un angolo, che chiude intieramente il vallone sudetto ed è principio d’una lama, che tiene per confine acquapendente il Feudo d’Ostuni. E caminando lama lama, per passi 288, termina la medesima colli beni di Santacroce e cominciano li beni de Padri Domenicani di Ceglie da tramontana e gerocco. Lacché si dinota in detta valle con una pietra piantata, riconosciuta dall’esperti per confine tra detti possessori. E facendosi dalla detta pietra passi 30, si trova un muro, che chiude una chiusura de’ Padri Domenicani in Feudo d’Ostuni. Per qual muro, caminandosi lungo la lama sopra la linea del muro, si fanno passi 150, dove terminano li beni de’ Padri Domenicani da levante e cominciano dallo stesso vento li beni della Masseria detta di Santo Polo, posseduta da Leonard’Antonio  Casaura di Martina; per li quale salendosi e calandosi per una collina per passi 100, s’arriva all’angolo d’una chiusura de’ Padri Domenicani, vendutagli dal Signor Duca di Ceglie, dal qual’angolo salendosi parete parete, per linea retta verso tramontana, per passi 155 e, dalla cima della murgia, calando per passi 63 s’arriva ad una lama, che camina per muro con linea tortuosa, curva ed inclinante alla parte di tramontana per passi 334, dove s’incontra un muro della vigna di Francesco d’Angelo Ligorio, che fa fronte alla linea antecedente. Dal qual luogo, caminandosi per linea retta verso tramontana, lungo il muro di detta linea, che divide le chiusure di San Polo da levante e detta vigna di Ligorio ed altre vigne di Ceglie da ponente, dopo passi 288, terminato li beni di San Polo in un’angolo, che dimostra la linea della confine verso ponente, e cominciando passi 34
Masseria Genovese anticamente Cristofaro
s’incontra una specchia verso tramontana della linea e s’entra in una lama, per la quale caminandosi passi 233 s’arriva al demanio detto di Cristofaro e s’arriva alla strada Carrese che da Ceglie Va in Ostuni, da dove la linea camina sopra il muro, che divide le chiusure di Cristofaro. E dopo passi 144 si trova il segno d’una cisterna detta della Chianca, che resta a tramontana della linea. E successivamente caminandosi per passi 90 di lama, s’incontra la chiusura olivata di Cristofaro. E misurandosi altri passi 202, sempre per beni murati di detto Cristofaro, entra la linea nelli demani de’ Signori Epifani e camina per passi 100. Dopo li quali ripiglia nuovamente il camino della linea  sopra li detti beni di Cristofaro per passi 195, trovandosi nel camino un segno, una fica antica, che sta su la linea dalla parte di tramontana. E seguitando la confine per linea tortuosa e serpeggiante sopra il muro delle vigne di molti naturali di Ceglie, dopo passi 230, entra la linea tra li demani di Cristofaro detti dell’Abbate Ventura, per dove si fanno passi 196 e s’incontrano le vigne dette di Campo Orlando e la chiusura della Madroccola del Signor Duca di Ostuni» (continua).dg
Olivo millenario in contrada Pere Rosse anticamente Conella
Commento
Il Rogito, come per altre zone, non ci ha tramandato la toponomastica del nostro territorio lungo questo confine, ma solamente i nomi dei possessori, i nomi di due masserie del territorio di Ostuni: San Paolo (San Polo) e Lama Troccolo (Madroccola) e di una contrada di Ceglie: Campo Orlando.
Quali erano i nomi di queste contrade? Consultando il Catasto antico del 1603 veniamo a sapere che:
a) la Lama dell'Abbate Santacroce corrisponde agli antichi demani della masseria Fragniti;
b) i "beni dei Padri Domenicani di Ceglie" corrispondono all'antica masseria de li Fornelli posseduta da Giovanni Cognano, più volte Sindaco di Ceglie negli ultimi 30 anni del 1500. Alla sua morte questi, perché senza figli, lasciò tutti i suoi beni alla Confraternita del Rosario. Obbligò la Confraternita a costituire in perpetuo la dote per due "zitelle povere". Agli inizi del 1700 la Confraternita fu soppressa dal Vescovo Francia e tutti i beni vennero assegnati ai domenicani, i quali continuarono ad eseguire le volontà testamentarie del Cognano fino al 1809, quando a causa delle leggi eversive furono espulsi da Ceglie. Nel corso del XVII secolo la masseria mutò nome e venne chiamata "masseria dei Maritaggi" o del "Rosario". Il suo antico territorio corrisponde all'attuale masseria Fragniti Piccolo e a parte di quella denominata "Casina Vitale";
Palazzo Cristofaro
c) il Demanio detto di Cristofaro, che attualmente corrisponde alle contrade Casina Vitale, Genovese e Padula, anticamente aveva altri nomi e comprendeva varie contrade più piccole: Conella, Morrella, Lama del Ponte, Foggia di Ferrantello, Fiore Altavilla, Todaro, Bellovidere.
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Cappella della Nunziatura Apostolica in India - Natività
Colgo l'occasione per augurare a tutti gli amici che seguono questo blog, ai cegliesi sparsi per il mondo, gli auguri più sinceri di BUON NATALE e di FELICE ANNO NUOVO.
Vi ricorderò nella notte santa ai piedi di Gesù Bambino.
Preghiamo (dal Messale):
Dio onnipotente ed eterno,
che nella nascita del tuo Figlio
hai stabilito l'inizio e la pienezza della vera fede,
accogli anche noi come membra del Cristo,
che compendia in sé la salvezza del mondo.
Egli è Dio, e vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen 


sabato 8 dicembre 2012

TELA DELL'IMMACOLATA

Collegiata di Ceglie Messapica - Tela dell'Immacolata attribuita
a Girolamo Imperato
Tempo fa il Prof. Marino Caringella mi inviò un articolo dal titolo: “Aggiunte alla fortuna di Girolamo Imperato e Fabrizio Santafede in Puglia”, pubblicato in Spicilegia Sallentina del 2010. Desidero condividere con voi alcuni stralci del suo studio che riguardano la tela dell’Immacolata esistente nella nostra Insigne Chiesa Collegiata da lui attribuita a Girolamo Imperato.
Desidero, inoltre, augurare buona festa a tutti i cegliesi sparsi nel mondo!

«Nell’ottobre del 1602 Monsignor Lucio Sanseverino, all’epoca Arcivescovo di Rossano (1592-1612), ricevette la triste notizia della prematura dipartita in Ceglie (l’attuale Ceglie Messapica) di suo fratello Fabrizio, figlio cadetto del quondam Giovanni Giacomo, barone della cittadina pugliese e IV Conte di Saponara. Il presule si vide pertanto costretto a intraprendere il non comodo viaggio che dalla Calabria Citra lo avrebbe portato in Puglia, nel castello avito, dove in qualità di procuratore di suo nipote Giovanni, erede legittimo del titolo di barone ma ancora minorenne, si sarebbe occupato per qualche tempo degli affari di famiglia. Giunto a Ceglie, Lucio si preoccupò, fra le altre cose, di far erigere nella locale collegiata di Maria SS. Assunta una cappella dove allogare la tomba dell’augusto fratello, intitolandola all’Immacolata Concezione. Nel principale tempio cittadino esisteva giò un altare con un’immagine dipinta a fresco della “Concezione della Beata Vergine Maria”, ma le sue condizioni non dovevano essere granché buone se dalla relazione della Visita Apostolica di Monsignor Camillo Borghese, effettuata sette anni prima, risultava “per vetustà già molto consunta”. Con molta probabilità, dunque, quello commissionato dal Vescovo di Rossano fu il riammodernamento dell’altare preesistente, in una chiesa che la nobile famiglia aveva già contribuito a ristrutturare sin dalle fondamenta fra il 1521 e il 1525, ovverosia ai tempi di Aurelia e Giovanni Sanseverino. La grande pala dell’Immacolata issata sull’altare omonimo è piuttosto stereotipo che si rifà allo schema compositivo classico della Tota pulchra, ripetuto senza troppo varianti in tante pale di analogo soggetto: la Vergine è posta al centro, circonfusa da un alone di luce; ha i capelli biondi sciolti sulle spalle, una corona sul capo, le mani giunte in pregiera, lo sguardo rivolto verso l’alto. Indossa la tradizionale veste porpora e il maphorion blu; i piedi poggiano su una falce di luna, citazione della “donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi…” così come compare nella visione dell’Apocalisse di Giovanni Evangelista (Ap 12, 1-2). Manca il drago, simbolo del male, al quale, sempre secondo la visione dell’apostolo, la Vergine schiacciò la testa trionfando sul peccato originale; un’assenza certamente intenzionale, tesa ad escludere nella raffigurazione ogni riferimento al dramma del peccato. Ai fianchi di Maria, in due file simmetriche, si snoda il didascalico corredo di simboli desunto dalle Litanie mariane, ciascuno con il proprio cartiglio identificativo. Anche i due angeli ai suoi piedi, poggianti su una soffice coltre di nuvole, erano destinati a portare ciascuno un simbolo biblico dell’Immacolata (tra le mani di quello di sinistra di chi guarda si riconosce lo speculum sine macula); questi ultimi, però, sono un’aggiunta e, fortunatamente, col tempo vanno facendosi  sempre più evanescenti. Appartiene, invece alla composizione originale il Dio Padre raffigurato nella centina come un vegliardo, con una mano appoggiata sul globo terracqueo e l’altra in atto di benedire. La sua presenza nell’economia della tela in argomento allude all’assunto teologico della Chiesa secondo cui la sapienza della Vergine discende dalla divina infusione di scienza e conoscenza attuata all’atto del suo straordinario concepimento. Una straordinarietà, peraltro, rimarcata dal cartiglio, retto dai due angeli posti ai fianchi del Creatore e recante la citazione del cantico di Cantici (Ct 4,7) Tota pulchra es amica mea et macula non es in te.
Collegiata di Ceglie Messapica- statua lignea dell'Immacolata
particolare
Contrariamente a quanto finora pubblicato, oltre che asserito nella relativa scheda ministeriale, l’ancona non è cosa settecentesca: se si eccettuano le pesanti ed evanescenti ridipinture del margine inferiore (come già detto, un’addizione alla tela originale), le caratteristiche formali di quanto non interessato dai successivi interventi permette, infatti, di anticiparne la cronologia al più agli inizi del Seicento e di riferirla plausibilmente alla fase di rifacimento dell’intera cappella patrocinata, come detto, dal vescovo Sanseverino. Ignoto rimane l’autore, la cui firma, qualora presente, potrebbe celarsi sotto le ridipinture, se non è stata addirittura obliterata dalla rifilatura della tela, che, almeno nelle parti laterali, ha dimensioni più piccole di quelle originarie, come denunciato dai cartigli delle litanie lauretane, decurtati in più punti. Tuttavia, la qualità sostenuta e il caratteristico modus pingendi della pala valgono quanto una firma, inducendomi a proporre l’inclusione del dipinto cegliese nel nutrito novero delle Immacolate prodotte da Girolamo Imperato (1550 ca. – 1607). Seppur con minime varianti, la figura della Vergine ripete invero quella da lui realizzata solo qualche anno prima per la chiesa di San Francesco d’Assisi a Castellamare di Stabia: affine è la postura, come pure il modo di panneggiare, col medesimo incavarsi del manto in un’ampia falcatura sulla quale la luce indugia, creando caratteristici effetti di chiaroscuro. Se ci sofferma poi sul volto dell’angelo alla sinistra dell’Eterno, si converrà come letterale sia stata la citazione di uno dei tanti angeli languidi e sospirosi dipinti nell’incorniciatura del soffitto di Santa maria Donnaregina a Napoli, di cui è stata recentemente confermata l’autografia imperatesca.
Collegiata di Ceglie Messapica - Statua lignea dell'Immacolata
Qualora un auspicabile restauro eliminasse le condizioni di pesante ossidazione della vernice nelle quali versa il quadro cegliese, potrebbe riemergere appieno la “materia cromata chiara, luminosa” che fu il tratto essenziale  di quel “sofisticato colorista” quale fu l’Imperato e che ora appena si intuisce. Se ci si sofferma, invece sul tono della composizione, il quadro cegliese risulta più austero rispetto a quello campano: sfrondato della pletora di festanti creature angeliche e da ogni possibile capriccio manierista, l’eloquio si fa qui più asciutto e gli accenti più marcatamente devozionali…»

domenica 25 novembre 2012

CIRCUMSCRIPTIO PHEUDI TERRAE CELIARUM DEL GALDO (4)

 
Largo Oliva ex Speziaria
Continuiamo la lettura del documento notarile del 1760, ci eravamo fermati ai Palmenti di Natalicchio oggi giungeremo nelle contrade di Giovanniello e Camarda.
«…da quel luogo comincia un muro a crudo sano; e misurandosi sempre per linea riguardante ponente, dopo passi 451, termina il confine di Boccadoro per tramontana ed il demanio di Natalicchio per gerocco; incontrandosi un muro divisorio meridionale, per dove s’introduce alli demani aperti della Signora Vita Lucia Oliva, che fanno confine con la linea per parte di gerocco e li beni del Signor Aroldi d’Ostuni, appartenenti alla Masseria detta Brizio, che fan confine alla linea sudetta per parte di tramontana. Dopo qual distanza, finendo il muro, si camina passi 120 per un limite coverto chiamato lo Petraro, che è divisorio tra detti due possessori, da dove segna il camino per una voltara, che serpeggiando, ora verso ponente, ora verso tramontana, facendo angolo a diverse parti tra segni di limite, Specchiette, ed altri segnali, dopo passi 490 s’incontra una pietra fissa in terra, naturalmente di figura irregolare, circoscritta di macchie di restinco o siano frasche, larga due palmi, dove più dove meno. E quivi li esperti sudetti, facendo fermare la misura, coll’assistenza de’ Signori Deputati e Procuratori, riconobbero la detta pietra e la trovarono segnata con un antichissimo segno di Croce scolpita in detta pietra, che dichiararono in nostra presenza essere la detta pietra segno certo ed evidente, e confine perenne ed irrefragabile, da loro non solo per tale tenuta da che ebbero uso di ragione, ma anche per tale a loro insegnata dalli vecchi di detta Terra di Ceglie ed Ostuni, senza che giammai vi fusse stata memoria di contrasto. In comprova di che, esso magnifico Principalli fece chiamare i due massari attuali, cioè uno del Feudo di Ceglie, che è Massaro della Signora Donna Vita Lucia Oliva, e l’altro del Feudo di Ostuni, e proprio della Masseria detta Brizio, di detto Signor Aroldi. Li quali portatisi in nostra presenza e domandati da noi, “che cosa dinotava la Croce predetta impressa sopra detta pietra viva?”. Ci risposero e dissero concordemente, essere quello il vero segno, che per quella parte divide il Feudo di Ceglie da quello di Ostuni, rapportando molti altri consimili segni, che devono trovarsi nella confine sudetta e specialmente in luoghi, dove il confine è ascoso e né si distingue da lemiti o pareti. Attestando fermamente che la legge del sudetto segno è tra loro inviolabile e s’ha per generale distintivo. Di maniera che o si trova in pietre fisse o in pontime o in tronchi d’alberi, si considerano asseverontemente per titolo perenne, fineta incontrastabile e segno irrefragabile delle confinazioni. Per il che volendo le dette parti, in detto loro rispettivi nomi, procedere cautelatamente, acciò l’assegnazione, come soprafatta, rimanesse sempre ferma, trovandosi dalla parte di levante a detta pietra, una Specchia sotto d’un albero di fragno, vollero che si misurasse la distanza da detta Specchia alla detta pietra segnata. Locché eseguendosi fu ritrovata la distanza in passi diece. Per cautela delle parti richiesero noi sudetti Reggj Giudice a Contratti, Notare e Testimoni, che di ciò n’avessimo dovuto fare publico atto. (…)
Masseria Gaetano Oliva vista da Monte Calvo
E non tralasciandosi il proseguimento del detto camino dal Signor Principalli s’assegnò la linea confinale verso ponente, dove fissandosi lo squadro dalli sudetti Compassatori, si ripigliò la misura. E dopo passi 29 di linea aperta, tra macchie, pietre e spine, fermarono sopra un’altra pietra naturale fissata in terra, anco in figura irregolare, di larghezza palmi tre, dove più dove meno, segnata ab antiquo col solito segno della Croce, che parimente dinotorono essere titolo di confine tra li detti Feudi, che chiamava in distanza un’altra simile pietra, segnata nella medesima maniera, e da detto luogo indirizzando il camino verso ponente, per linea aperta tra macchie, sterpi, spine e mucchi di pietre, si fanno passi 200 e termina la confinazione di Aroldi dalla parte d’Ostuni e dalli due lati di gerocco e tramontana confinano li beni di detta Donna Vita Lucia Oliva. Da quel punto salendo per murgie e calando per valli, dopo passi 146, dentro una macchia di ristinco, si trovò l’altra pietra fissa in terra, segnata come sopra colla Croce, che chiamava per confine li Curti della Masseria di Giovanniello. Com’infatti caminando per passi 55, tra macchie, si giunge all’angolo delli Curti sudetti di Giovanniello, per dove facendosi altri passi 68, si trova a piedi del muro dalla parte di gerocco, un’altra pietra fissa, segnata similmente come sopra. E caminandosi per passi 74 si terminò li Curti predetti di detta Masseria ad un muro di chiusura divisorio, che cala verso gerocco. E nel punto di detto muro a tenore d’assignazione fatta da esso Magnifico Principalli, colla direzione dell’esperti sudetti, si fissò lo squadro per proseguirsi la linea verso ponente, dinotando li Periti per segno li Curti detti di Papa Ciccio, che erano siti in distanza. E misurandosi per quella parte, dove si dinotava lo squadro, sempre per linea aperta, intersecando murgie, serri ed una valle, tra li beni del Beneficio della Natività da due lati tramontana e gerocco, si fecero passi 230, sino al fondo d’un vallone, che attacca con detti Curti di Papa Ciccio da gerocco. Quivi s’incontra un muro che divide la valle della murgia e li Feudi Cegliese e Ostunese, cominciando a confinare la linea per la parte di Ceglie li beni dell’Abbade Don Cataldo Santacroce. E stando le cose in tale stato, essendo già le ore ventitre della sera, non potendosi più proseguire detto camino e misura, per la notte sopraveniente, concordarono esse parti che si dovesse il di più riserbare per il giorno seguente e col consenso di tutti si sospese il camino…» (continua). dg
Masseria Monte Calvo
Dalla lettura di questa pagina si nota che all’epoca, la Commissione incaricata per la confinazione, ebbe dei seri dubbi circa il limite tra il feudo di Ceglie e quello di Ostuni quando giunse nella vasta area tra la Masseria Monte Calvo, di cui faceva parte la Masseria di Donna Vita Lucia Oliva (oggi Masseria Gaetano Oliva - territorio di Ceglie) e la Masseria Albrizito (Brizio – territorio di Ostuni). L’assenza di muri a secco e la graduale trasformazione dei terreni incolti stava cancellando i segni medioevali lasciati nel 1120 al tempo dei Normanni. Agli inizi dell’800, circa 50 anni dopo la misurazione fatta dalla Commissione del 1760, il dubbio si fece atroce, quando si dovette dirimere la questione della registrazione di buona parte dei terreni della masseria di Donna Vita Lucia Oliva. La querelle fu risolta in favore di Ceglie e tutti quei terreni furono registrati nel nostro Catasto. Grazie a quella disputa, a tutt’oggi, abbiamo in copia il documento importantissimo del 1120. 

Masseria San Paolo vista da Monte Calvo
Purtroppo, attualmente la contrada denominata “Pezza di Ferro” ed altri terreni di contrada “Lama Favuzza”, che una volta facevano parte del demanio della Masseria Gaetano Oliva, si trovano inspiegabilmente registrati nel Catasto di Ostuni e fanno parte di quel territorio comunale.
Chi volesse leggere la sentenza del 1811 può andare su questo sito:
 Antologia a cura di Pasquale Elia.

Qui pubblico un documento del 1497 conservato nel Libro Rosso di Ostuni:

“Oratoris hispani — Magn. viri consiliarii nostri fideles dilecti:
el Magn. Ambasciatore Hispano utile Signore de Hostuni ne ha exposto che tra la Università de dicta cita et lo Signore utile de Ceglie è più tempo è una certa differentia de confinibus, supplicandone provedamo che ciascuna de le parte mande li arbitri et le scripture hanno super faciem loci, et concordandose serrà bene, et quando no ce habiate da mandare voi alcuno homo da bene che intese le rasone de ciascuna de le parte ministre justicia; la supplicatione del quale havendo noi admessa, ve dicimo et ordinamo che providate le predicte università mandeno loro arbitri et scripture hanno super faciem loci, et concordandose tra ipsi serrà bene, et quando no ce manderite uno vostro homo che intenda le rasone de l’una parte et l’altra, et li ministre justicia, et questa e la voluntà nostra.
Dat. in Castris nostrìs felicibus contra Dianum XII novembris MCCCCLXXXXVII —
Rex Federicus — Vitus Pisanellus – Hidruntino”.

(cliccare sulle foto per ingrandirle)

mercoledì 7 novembre 2012

IL CONVENTO DI SAN DOMENICO

 
Dopo aver notato sul blog dell'amico Mimmo C.A. Barletta (ahiceglie) una notizia inesatta circa la datazione dell’immobile, che per circa 2 secoli ha ospitato il Municipio di Ceglie Messapica, mi permetto di pubblicare alcune note della Platea del 1744 dei PP. Domenicani di Ceglie, conservata nell’Archivio di Stato di Brindisi, dalle quali si evince quando i Domenicani si trasferirono nel convento nuovo e quando fu costruita l’attuale chiesa di San Domenico.

vista del convento dei Domenicani di Ceglie
 «...Si era cominciata una fabrica per un convento di Donne Monache, ove al presente è questo convento e qui proseguirono a fabricare e ci fecero il nuovo convento come oggi è; e entrarono i Padri ad abitarlo nel 1682. Il convento vecchio si cedé all’Università e Capitolo acciò servisse per Spedale degli Poveri, stanto che l’Università e i Capitolari non volevano si facesse questo nuovo convento e con questa cessione si contentarono. Li Padri li concessero la chiesa colla metà del cortile, con quattro camere, due soprane e due sottane, si riserbarono l’uso alla cisterna che sta entro la chiesa con farsi una apertura al muro della chiesa per l’uso di detta cisterna. E se mai di detto luogo concesso per Ospedale dei Poveri se ne facesse altro uso, la donazione è nulla e ponno li Padri ripigliarsi il tutto, così si dice in un consiglio fatto nel 1662, di cui se ne conserva copia segnata littera F n° III. Le case riservatesi dagli Padri le vendettero all’Abbate Vincenzo Lamarina ed il ritratto s’impegnò nella nuova chiesa nel 1688.
facciata della chiesa di San Domenico
…Ha questo convento un chiesa bellina a tre navi, fatta in questo secolo dagli Padri, stante quando nel 1682 entrarono gli Padri in questo convento vi era una chiesa molto piccola e perciò pensarono fare la presente quale oggi è in tutto compiuta».
 
facciata principale della chiesa delle "Donne Monache"
Il convento per le “Donne Monache” fu iniziato tra il 1610 ed il 1615, dopo alterne vicende, esso restava ancora incompiuto verso il 1660! Incaricato della costruzione fu l’Abate Sebastiano Calciuri, il cui nome compare nella Visita Pastorale del 1627, fatta dal Vescovo oritano Mons. G. Domenico Ridolfi. I Padri Domenicani, dopo averlo completato, vi si trasferirono nel 1682, per la permuta fatta sia con l’Università e sia col Capitolo della Collegiata, ai quali cedettero parte del vecchio convento, che fu utilizzato come "ospedale per i poveri", e la chiesa medioevale di San Giovanni Evangelista.
L’attuale  chiesa di San Domenico iniziata nel 1688 fu completata agli inizi del 1700, in essa si trova inglobata l'antica chiesa delle "Donne Monache". A quanto sembra l'attuale facciata è rimasta incompiuta, essa è stata fabbricata con conci di pietra alternata a conci in carparo. dg
facciata laterale della chiesa delle "Donne Monache"

 

domenica 28 ottobre 2012

CIRCUMSCRIPTIO PHEUDI TERRAE CELIARUM DEL GALDO (3)

Veduta di Ceglie Messapica - foto presa dal Web
«Nel qual luogo s’è fissato lo squadro dimostrante la linea verso levante, che era contrassegnata da un muro diruto, lungo e continuato, per dove s’è caminato, misurando sempre tra macchie, sassi grandi, alberi di fragne, ghiande e lezze. E fatti passi 230 d’è incontrata la strada carozzabile  che da Ceglie conduce a San Vito delli Schiavi. E per detto parete diruto continuandosi verso levante il camino per passi 29 s’arriva in un’angolo che volge la linea per detto muro diruto verso tramontana, rimanendo la Difesa  dell’Innamorata da levante e la pezza della Nepita da ponente.

Cippo che segna il limite tra Ceglie e San Michele Salentino - Foto di E. Bellanova

 Poi per il qual muro diruto misurandosi passi 136 di linea retta ed altri passi 170 di linea curva inclinante al levante s’arriva ad un muro che comincia dalla parte di Ponente della linea del Feudo confinale e tira verso Levante, qual muro divide la Difesa dell’Innamorata da un bosco della Mensa Vescovile d’Ostuni. Quivi li suddetti Pietr’Onofrio Ciciriello ed Angelo Roma, esperti destinati ut supra, stando con l’assistenza e presenza delli sudetti Signori Dottori Vitale e Greco, Deputati; Tomaso Fedele e Giuseppe De Nitto, esperti, coll’assistenza del sudetto Magnifico Principalli, di consenso di tutti, han fatto sospendere la detta misura e compasso, volendo riconoscere posatamente il detto confine. Com’infatti, facendo eglino le più serie e mature riflessioni, per la loro espertezza, esperienza e perizia, hanno il detto confine riconosciuto, ed han confessato, come dichiarano e confessano in nostra presenza, che il sudetto muro, come sopra delineato è il vero termine e fine del Feudo di San Vito da loro chiamato volgarmente la Confine della Santovitese, che attacca e confina col detto Feudo di Ceglie; giacché da quel muro appunto comincia il Feudo di Ostuni, da loro volgarmente chiamata la Stonese ad attaccare dalla parte di levante il Feudo di Ceglie, per la linea confinale, che deve cominciare per la tramontana ed han denominato il detto bosco Parco di Monsignore, appartenente alla Mensa Vescovile di Ostuni. Di maniera che il detto punto è principio di muro è confine di tre Feudi, cioè del feudo di San Vito per Greco e Levante, del Feudo di Ostuni per Greco - Levante e del Feudo di Ceglie per Ponente e Maestrale. (…) ».
Contrada Masseria Palagogna
La misurazione venne sospesa per il tramonto del sole, dopo aver lasciato un segno sul punto prescelto, la Commissione si ritirò e la misurazione venne ripresa al mattino del giorno seguente, 18 novembre 1760.
Foggia di Palagogna
«…nel susseguente giorno de’ 18 novembre corrente anno 1760 ci conferimo alla Pezza detta della Nepita, territorio e distretto della Terra di Ceglie, corpo della Massaria di Palaogna, e propriamente nel luogo dove fa principio per la parte di ponente il muro divisorio, che divide tra di loro la Difesa detta l’Innamorata, appartenente alla Massaria detta Della Jena, che si possiede dalla Principal Camera di San Vito delli Schiavi ed il Parco detto di Monsignore, appartenente alla Reverenda Mensa Vescovil di Ostuni. Quivi trovansi presente tanto li Magnifici Don Nicola Principalli e Don Francesco Lopreste, Procuratori ut supra rispettivamente, quanto li Magnifici Dottori Vitale e Greco, Deputati Civili della Magnifica Università di questa suddetta Terra, colli sopradetti esperti, li medesimi volendo proseguire e continuare il camino dallo stesso luogo, dove la sera antecedente  s’era terminato, fecero riconoscere di consenso il segno dall’esperti medesimi lasciato. Com’infatti, in nostra presenza li medesimi trovarono il mucchietto delle pietre sopra detto muro, con sopra le frasche poste a segno di Croce, da essi detta Magnone, niente spostato, ma nello stesso luogo appunto dove essi medesimi l’avevano situato.
 
Acquaro di Natalicchio
E guardandosi dalli sudetti verso il vento di tramontana riconobbero la situazione e vollero, che nel punto di detto muro si fissasse lo squadro e dovesse aver per segno il vento sudetto. Per la qual linea caminarsi intersecando il detto bosco, o sia Parco di Monsignore, che restar doveva dalla parte di Greco-Levante e la pezza della Nepita (Feudo di Ceglie) dalla parte di Ponente e Maestrale. Da qual camino di consenso di tutte le sudette parti stabilitosi il Magnifico Principalli, in nostra presenza, ne fece in detto nome, assegnamento al Magnifico Lopreste, in nome e per parte del detto Signor Principe, presente. Perlocché fissatosi lo squadro dalli sudetti Magnifici Compassatori: Pichierri e Panariti, si cominciò la misura col compasso di palmi sette, ed ogni palmo d’oncie dodici, che fu per tale da detti medesimi Signori Deputati ed Esperti riconosciuto, e specialmente da esso Magnifico Principalli, e caminandosi e misurandosi per linea retta verso tramontana per muro diruto coverto di macchia e di alberi di lezze e ghiande, tra detto Parco detto di Monsignore, dalla parte di Greco-Levante e chiusa della Nepita da Ponente e Maestrale, dopo passi 398 s’è arrivato in un’angolo, che fa principio d’un muro divisorio e volta la linea verso ponente, terminando la confine del bosco di Monsignore e cominciando a confinare la linea i beni dell’Abbazia detta di Boccadoro, che confina il detto muro, per parte di Tramontana e la sudetta Pezza della Nepita, per parte di Gerocco.
Contrada Masseria Palagogna
Per la qual linea facendosi camino verso ponente sempre per il detto muro, che fa piede ed origine al Serro ed alla Murgia per una scoscesa, per macchie e pietre, si sono fatti passi 808 di linea retta e s’è arrivato ad un muro diruto, che fa termine ne l’altro demanio chiuso della pezza della Nepita e comincia il demanio aperto detto di Grotta Palazzata di Palaogna, da qual muro si cominciò a compassare ed a caminare per una dentata di pietre, che dinotano muro antico, coverto di macchie, spine ed alberi, e facendo passi 573 s’incontra una vora d’inghiottire acqua attaccata a detta dentata e dopo altri passi 40 s’incontra strada Regia, che da Ostuni conduce a Francavilla, dove termina il detto demanio di Grottapalazzata e ripiglia il demanio aperto della Massaria di Natalicchio da Gerocco, seguitando sempre da tramontana beni della Abbazia detta di Boccadoro. E caminadosi nell’istesso muro per passi 80 s’incontra la linea di un vestiggio di pentima sprofondata, attaccata da Gerocco a detto muro diruto, che detti esperti dissero chiamarsi li Palmenti di Natalicchio» (continua…) dg


domenica 14 ottobre 2012

CIRCUMSCRIPTIO PHEUDI TERRAE CELIARUM DEL GALDO (2)


Madonna della Grotta - foto di Michele Miccoli
Continuiamo la lettura del documento notarile del 1760, pubblicato nel 1997 a cura del Dr. ENRICO TURRISI, storico cegliese, per conoscere i confini del nostro territorio comunale.

«E cerzionati essi Signori Deputati ed esperti dell’Università predetta dell’assignazione, ut uspra fatta, tanto del principio del confine, quanto della linea del camino, riconoscendosi dall’esperti il luogo sudetto è stato approvato essere quello il termine donde vien confinato il Feudo di Ceglie delli Feudi di Francavilla e di San Vito per la parte di levante; ed in detto luogo fissatosi lo squadro alla fineta sudetta, che varcando la lunghezza del Vado del Lepre e Strada Regia da Francavilla ad Ostuni e principio del muro a crudo, che tira per la linea retta verso tramontana, dividendo li Feudi e possessioni, come sopra. Fissandosi lo squadro da detti Magnifici Compassatori s’è cominciata la misura del Compasso riconosciuto di palmi sette lungo ed ogni palmo d’oncie dodici Napolitane, caminando verso tramontana sopra la linea del muro assignato per territorj macchiosi dopo passi 435 s’incontra un muro meridionale divisorio, dove terminano li sudetti beni della Madonna della Grotta per la parte sudetta di ponente e cominciando per detta parte li demanj chiusi della Masseria della Sardella della Ducal Camera di Ceglie, continuando dalla parte di levante a confinare lo stesso Signor Salerno. Tra quali confini sempre per lo stesso muro e linea verso tramontana caminandosi per luoghi macchiosi e boscosi per linea tortuosa, facendosi passi 220 s’incontra dalla detta parte di ponente un altro muro divisorio che divide il sudetto demanio chiuso dall’altro anche chiuso detto di Spada Longa della medesima Masseria della Sardella: dal quel muro divisorio si camina sopra l’assignato parete per linea tortuosa ed inclinante a levante anche per macchie e pietre, si fanno passi 865 e s’incontra un altro muro meridionale, dove termina Spada Longa e comincia per detta parte di ponente la chiusa boscosa ed arbustata di fragne e ghiande detta Donnantonio, appartenente alla Masseria detta di Palaogna della medesima Ducal Camera, da dove per detto muro assegnato, e tra alberi e macchie, dopo passi diece 10, s’arriva ad una picciola valle, che termina il confine per mezzo delli beni del Signor Salerno dalla parte del Feudo di San Vito; dalla qual parte comincia la confinazione colla Difesa della Jena della Principal Camera di San Vito.
Ingresso Masseria Palagogna - Foto di Andrea Ferro
Da quivi continuandosi il camino sempre sopra la linea del detto muro assignato verso il vento tramontana, fattisi passi 220 di scesa e salita, s’incontra un passaturo coverto di macchie e spine, appartenente detto passaturo coverto alla detta Chiusa Donnantonio, interamente in Feudo di Ceglie; per il qual passaturo facendosi passi 351, termina dalla parte di levante la Difesa della Jena e comincia a far confine la Difesa detta Lagnano, appartenente alla Ducal Camera di Ceglie. E continuandosi il camino per il detto passaturo coverto di macchie, sempre per linea retta, sopra detto muro assignato, finisce di confinar la linea di detto passaturo e comincia la Chiusa del Forte di detta Ducal Camera da ponente. E fatti passi 110 finisce parimente la confinagione Lagnano per la parte di levante e ripiglia a confinare la Difesa detta dell’Innamorata della Principal Camera di San Vito per la parte di levante. Dal qual principio di nuova confinazione facendosi passi 232, tra dirupi, sassi, alberi di quercie e macchie, per linea curva inclinante verso levante, forma angolo, che torce la linea, tuorce a levante, rimanendo la detta Difesa Innamorata a gerocco ed il demanio chiuso della Pezza della Nepita, appartenente alla Masseria di Palaogna della Ducal Camera a tramontana» (continua)

Paesaggio cegliese-foto di Michele Miccoli

Considerazioni:
È molto difficile oggi seguire la descrizione del confine del territorio cegliese, a causa dei vari frazionamenti e per la trasformazione del territorio (a volte aggredito in maniera brutale)  fatta dagli stessi proprietari negli ultimi 200 anni. Cercando di comparare alcuni dati contenuti nell’antico Catasto del 1603 tenterò di offrire alcune minime riflessioni:



a) Il toponimo dell’attuale contrada Madonna Piccola è stato utilizzato agli inizi del ‘900, poiché quel territorio ricadeva nel demanio dell’allora Madonna della Grotta di proprietà del Capitolo di Ceglie;

b) il territorio della Masseria Sardella, stando al catasto del 1603, veniva denominato Arbore Santo e si estendeva per circa 142 tomoli, pari a 120 ettari;
Masseria Palagogna - foto di Andrea Ferri
c) il toponimo Palagogna è molto antico, forse risale all’anno 1150. Tra i sub feudatari del grande feudo normanno di Oria, nel quale ricadeva anche Ceglie, vi era la Famiglia Palahonia. Stando alle notizie riportate nel Catasto del 1603 il suo territorio si estendeva per circa 357 tomoli, pari ad ettari 302.

d) da notare il toponimo Lagnano (alcuni scrivono Agnano); verosimilmente esso richiama l’esistenza di un antico casale altomedioevale. Tale nome è conservato nelle mappe militari degli anni 40 del secolo scorso con la dicitura Agnano piccolo. Esso è equidistante dall’antico casale San Giacomo in Gualdo (attuale masseria San Giacomo) e dalla Masseria Madonna della Grotta.

e) una parte dell’attuale confine cegliese interseca il Comune di San Michele Salentino sino al bivio della strada Ceglie - San Vito dei Normanni.

f) di fatti, la Difesa dell'Innamorata sarebbe l'attuale comune di San Michele Salentino;


g) altro toponimo conservato in questo documento è "Difesa della Jena", toponimo che si trova nel documento in copia del 1120. Da questo punto, in quel tempo, s'iniziò a distinguere il confine di Ceglie da quello di Ostuni.
dg
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Tutte le foto le ho trovato sul Web. Per chi volesse vedere la "fineta" tra il territorio di Ceglie Messapica e quello di Francavilla Fontana può andare su questo link: http://goo.gl/maps/T3a5B

sabato 29 settembre 2012

CIRCUMSCRIPTIO PHEUDI TERRAE CELIARUM DEL GALDO (1)

 
 
Desidero portare a conoscenza un documento del 1760, conservato nell'Archivio di Stato di Brindisi nel Fondo Notarile di Torchiarolo [Atto Notar Pasquale VETTALDI]. Il documento è stato già pubblicato una quindicina d'anni fa.
Da esso si evince che in quell'anno il Duca di Ceglie, Annibale Sisto y Britto, iniziò una trattiva con il Principe di Leporano, Nicolò Sergio Muscettola, per vendergli il Feudo di Ceglie. Per tale ragione, l'acquirente volle sapere con esattezza quanto fosse l'estensione del territorio cegliese prima di concludere l'affare. Venne istituita una commissione ad hoc, con l'obbligo di verificare il limite del feudo e misurarne con esattezza l'ampiezza; a tale scopo furono scelti: Giovanni Meo della Terra di Pulsano, "Reggius ad Contractus Judex Notarius", i "Testes": Giovanni Frusi e Donato De Milito della Terra di Leporano, e Saverio D'Elia della Città di Taranto, tutti: "viri quidem licterati, vocati, atque rogati". Il Duca fu rappresentato dal Magnifico Niccolò Principalli "Aggebre Generale e Procuratore" ed il Principe da Don Francesco Lopresto. A questi si aggiunsero i "Reggi Compassatori": il Magnifico Francesco Pichierri della Terra di San Giorgio ed il Magnifico Tommaso Panariti, della Terra di Roccaforzata, "con l'intervento di due esperti uomini probbi e vecchi della sudetta Terra di Ceglie, cioè Pietro Onofrio Ciciriello e Tommaso Fedele". Furono stabiliti i criteri che si dovevano seguire per determinare l'esatta misurazione del confine ed individuare i segni antichi che si potessero trovare: "ed esprimendo parimente i Feudi confinanti ed i possessori de' beni che confinano con detto Feudo. Ed in vigore di tal'espressione li suddetti due Compassatori dovessero misurare la distanza da luogo a luogo, con descrizione nelle linee li segni e notare le distanze". La commissione si diede appuntamento al "vado del lepre":
"che forma publica strada carozzabile che da Francavilla si va ad Ostuni, situato detto luogo al vento di levante di detta Terra di Ceglie, distante dalla medesima miglia cinque napoletane di linea piana; quivi tra il mezo di due muri diruti a crudo s'è ritrovato il vado sudetto, che forma la detta strada, che conduce da Francavilla ad Ostuni; ed esso Magnifico Principalli ha voluta che dall'esperti sudetti si riconoscesse, se quello fusse termine del Feudo di Ceglie da quella parte, e come infatti in nostra presenza essi de Fedele e Nitto facendo in detto luogo le più serie riflessioni, per la di loro espertezza, hanno dichiarato, come dichiarano e confessano, che da detto luogo deve cominciarsi il camino e circoscrizione del Feudo, come è nella situazione di trovarsi la sua confine attaccata a più Feudi, cioè al Feudo di Francavilla ed a quello di San Vito de' Schiavi. In confirma di che, li medesimi esperti ci han fatto vedere un titolo, o sia Fineta o Termine di pietra detta CARPARO piantata in terra dentro una macchia di restinco, o sia frasca, che s'eleva sopra la terra in palmi sei d'altezza, larga palmo uno e tre quarti dalle facce di levante e ponente, e grossa palmo uno  e tre quarti dalla faccia di tramontana e gerocco. Segnata con la lettera F dalla parte di ponente.
Foto di Michele Miccoli
Qual fineta han dichiarato, come dichiarano e confessano tanto esso Magnifico Principalli, quanto li sudetti esperti, essere il principio della confine del Feudo sudetto per il detto vento di levante di detta Terra di Ceglie, che mai è stato da veruno contrastata, sapendolo di certa esperienza, e perché così l'han sempre inteso dire dalli loro antenati e dalli più vecchi della Terra sudetta. Per effetto di che, da detto Magnifico Principalli Procuratore, ut supra, stando presente esso Magnifico Lopresto da parte del Signor Principe di Leporano ha fatto, conforme fa, l'assignazione del principio della circoscrizione e confinazione predetta dal detto prescritto luogo, contrassegnando una linea verso tramontana per un parete murato a crudo, lasciandosi la fineta sudetta alle spalle dalla parte di gerocco, col continuarsi il camino verso tramontana per il sudetto parete assegnato divisorio tra il Feudo di Ceglie, e beni demaniali della Madonna della Grotta del Reverendo Capitolo da ponente, ed il Feudo di San Vito delli Schiavi e beni del Signor Tomaso Salerno di Francavilla da levante. E nell'atto che li sudetti Pichierri e Panariti, Compassatori, s'accingevano a far la misura del detto confine assegnato, sono comparsi avanti di noi li Magnifici Dottori Don Angelo Vitale e Don Dioniggio Greco, in compagnia di Angelo Roma e Pietro Onofrio Ciciriello, tutti della Terra di Ceglie, facendoci istanza, che per li gravi interessi che la Magnifica Università di detta Terra deve avere in detta confinazione e descrizione di Feudo, non solo per riguardo alle contribuzioni che esigge di collette, gabelle ed onciarj; ma anche per la servitù che possiede ciascun Cittadino in particolare sopra li terreni demaniali, di pascere, legnare e raccogliere ghiande e fragne, deve predetta Università rimanere intesa di quanto accade in detta confinazione e descrizione, affinché non rimanessero né Ella né li sui Cittadini in minima cosa pregiudicati". La richiesta venne accolta benevolmente ed il gruppo si associò alla Commissione per delimitare il confine del feudo cegliese.

(continua...) dg
 
Foto di Michele Miccoli
 
 
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Il punto prescelto [il Vado del Lepre] sarebbe l'attuale confine tra il territorio di Ceglie, quello di Francavilla Fontana e quello di San Michele Salentino, tra le contrade di Madonna Piccola (Ceglie), Laceduzza (San Michele Salentino.) Pozzo Pallone (Francavilla Fontana).

domenica 25 marzo 2012

FESTA DELL'ANNUNZIATA


Quest’anno per la coincidenza con la V Domenica di Quaresima la solennità dell’Annunciazione del Signore è stata trasferita al lunedì 26 marzo. Tra la seconda metà dell’800 ed i primi del ‘900 si celebrava nel centro storico di Ceglie Messapica una grande festa, venivano portati in processione il simulacro settecentesco della Vergine insieme a quello dell’Arcangelo Gabriele; a quelli fu aggiunta negli anni venti del ‘900 la stata di San Giuseppe, del maestro cartapestaio Caretta. Purtroppo, a causa dei torbidi che sempre capitavano dopo la processione [delle volte anche omicidi], essa fu definitivamente soppressa dal Vescovo di Oria con buona pace del Capitolo Cegliese, che mal digeriva questa festa, perché organizzata da alcuni protettori di prostitute.
Gli “Amici del Borgo Antico” si sono industriati, in questi ultimi anni, di ravvivarne il ricordo, che a dire il vero mai si è sopito, poiché ininterrottamente il 25 marzo la chiesetta rimane aperta ed è visitata da molti fedeli e viene anche celebrata una Santa Messa.
Erroneamente il De Giorgi, seguito poi da Padre Coco, pensava che il piccolo tempio fosse l’antica chiesa matrice della Città. Da alcuni documenti conservati nell’Archivio Diocesano di Oria e da altri da me rintracciati nell’Archivio Segreto Vaticano, si scopre che la chiesetta dell’Annunziata era grancia (chiesa dipendente) di un antichissimo monastero, sito presso la grotta di San Michele, nella Contrada Sant’Angelo, sulla provinciale che porta a Francavilla Fontana. Esso era posseduto dai monaci calogeri o basiliani, che a loro volta dipendevano dalla famosa Abbazia di San Nicola di Casole, nei pressi di Otranto.
Dalla visita pastorale di Mons. Alessandro M. Kalefati (Vescovo di Oria dal 1781 al 1794) fatta a Ceglie Messapica nell’ottobre 1783, si ricava la notizia dell’esistenza di questo monastero basiliano. Il documento recita:

«È stata visitata la chiesetta sotto il titolo dell’Annunciazione della Madre di Dio, Vergine Maria. Da quello che mi è stato riferito, questa chiesetta anticamente apparteneva come grancia all’Abbazia di Sant’Angelo dei Greci, da cui dipendeva. Tale Abbazia distava un miglio e più dalla città di Ceglie. Purtroppo oggi si possono trovare i suoi ruderi scavando in un podere, dove esiste una grotta sotterranea, in cui si possono ammirare le concrezioni calcaree, che assumono l’aspetto di colonne. Come mi è stato detto, i primi cultori di questa Abbazia pare fossero i monaci greci basiliani. Non si sa come, forse perché i monaci furono espulsi o perché si estinsero, i beni di questa Abbazia furono assegnati all’Ill.stre Ordine Equestre di San Giovanni di Gerusalemme, in particolare furono amministrati dalla Commenda di Maruggio. In verità, in passato circa 480 jugera volgarmente tomoli o moggi, secondo le misure agrarie della città di Ceglie, furono permutati con altre terre dal Commendatario CHISIO ROMANO col Canonico Giovanni Nannavecchia della città di Ceglie».

Mentre nell’Archivio Vaticano esiste una Bolla del 29 gennaio 1393 con la quale il Papa Bonifacio IX (Pietro Tomacelli, fu Papa dal 1389 al 1404), dopo aver trasferito da Ceglie il Priore all’Abbazia di Santa Maria di Ferrorelle, nei pressi di Brindisi, affida il monastero ed i suoi beni al Canonico Nicola Godano di Brindisi:


“…cum itaque prioratus Sanctae Mariae Annunciatae de Cilio de Gualdo, ordinis Sancti Basilii, Horitanensis dioecesis, quem dilectus filius Raphael abbas monasterii Santae Mariae de Forbellis, dicti Ordinis, Brundisinae dioecesis, tempore promotionis per Nos factae de eo ad ipsum monasterium tunc vacans, obtinebat, prout obtinet per huiusmodi promotionem et quamprimum dictus abbas…”.

Da quel momento il monastero non fu più posseduto dai basiliani ma da un Abate commendatario, restò disabitato ed esso andò in rovina. Poi, non si sa come, i suoi beni passarono nell’amministrazione dei Cavalieri di Malta. I documenti relativi questo periodo sono conservati nell’Archivio Storico di Napoli. Dalle Visite Pastorali della fine del ‘600 sino a tutto il ‘700 si scopre che la chiesa dell’Annunziata era beneficio degli Arcivescovi di Napoli, anche questo altro passaggio resta per ora sconosciuto.
dg

mercoledì 29 febbraio 2012

LA PRINCIPESSA ANNA COLONNA


Con la tragica morte di GIOVANNI ANTONIO ORSINI DEL BALZO, Principe di Taranto, avvenuta in Altamura nel novembre 1463, terminava la lunga guerra di successione che aveva devastato buona parte del Regno di Napoli. La sua morte fu salutata “vita e risurrezione dei sudditi…i legati di tutte le città e di tutti i borghi, che il principe aveva posseduto in numero di trecento, fecero con grande piacere atto di dedizione al re” (Silvio Enea Piccolomini). In Terra d’Otranto, a giorni alterni, le varie delegazioni di Sindaci incontrarono il Re Ferrante per chiedere grazie, sgravi fiscali, esenzioni, ed, in particolare, che alle loro rispettive università fosse stato concesso il privilegio della demanialità: “che esprimeva l’aspirazione a essere inserite nel demanio regio, in rapporto diretto ed esclusivo con il sovrano, senza la mediazione del signore feudale”. La delegazione dell’università di Ceglie del Gualdo incontrò il Re Ferrante nel castello di Nardò il 10 dicembre del 1463 e, oltre varie richieste, a differenza di tutte le altre città del dominio del Principe di Taranto, chiese al sovrano che l’università restasse infeudata alla consorte dell’Orsini, ANNA COLONNA: «Item, petono li detti uomini et Università ch’essendo stati vassalli et in governo dati per la benedetta memoria dello Principe di Taranto prossimo passato alla Principessa sua consorte, la quale ne ha governato come vassalli per anni trenta cinque e più, si debba degnar Vostra Maiestà per misericordia e grazia lasciarne in suo governo, che come per lo passato ne stata utilis Domina, cossi ancora sia per l’avvenir con grazia e fedeltà della Maiestà Vostra. Reggia Maiestas taliter providebit quod tamen ipsa Universitas dicta Ill.ma Principissa monito poterunt contentari».
Chi era Anna Colonna? Figlia di Lorenzo Colonna, fratello di Papa Martino V [al secolo Oddone Colonna] (fu Papa dal 1417 al 1431), Anna fu chiesta in sposa da Giovanni Antonio Orsini del Balzo nel 1425. Chi seguì le trattative del matrimonio fu Tristano di Clermont, cognato dell’Orsini, che per il matrimonio contratto con la sorella, era signore anche di Ceglie del Gualdo. All’epoca del matrimonio Anna aveva circa 15 anni e come appannaggio matrimoniale ricevette dal marito la Terra di Ceglie. “Nella produzione storiografica sul principato la figura di Anna Colonna è rimasta sempre molto sfocata; gli storici locali ne hanno solo sottolineato la scarsa avvenenza (in particolare la grossa corporatura) e il non aver dato eredi legittimi all’Orsini”. Mentre ella esercitò il suo potere feudale con molta amabilità e bontà, tanto da essere tenuta in alta considerazione dai cegliesi, i quali vollero che continuassero a restare sotto il suo dominio anche dopo la morte del marito. Il Re Ferrante assecondò la richiesta dei cegliesi e confermò alla Principessa il feudo di Ceglie, che mantenne sino alla sua morte, avvenuta nel 1469.
Riporto parte del documento di riconferma del 1463: «...ex concessione sibi facta per condam illustrem Iohannem Antonium de Ursinis, Tarenti principem viruum suum tenuerit et possiderit prout eadem e presenti tenet et possidet pacifice et quiete terram Ciliarum, de provincia Terre Idronti, cum castro seu fortellicio, hominibus, vaxallis vaxallorumque redditibus, pheudis, pheudotariis subpheudotariis, meroque et misto imperio, iuribus collectarum et fiscalium funcionum ac solucionum quarumlibet certisque iuribus ad terram ipsam spectantibus et quomodolibet pertinentibus ac cum integro statu suo dignaremur eidem ad maiore cautelam terram supradictam cum omnibus suis iuribus confirmare et quatenus opus ets eciam de novo concedere et donare. Nos autem volentes cum prefata illustri principissa agere graciose harum serie scienter et expresse certaque nostra scientia terram Ciliarum predictam cum suis universis iuribus eo modo et quatenus illam actenus tenuit et possedit ad presens quam tenet et possidet ex iuxta privilegiorum….» (20 dicembre 1463).

Dai documenti non conosciamo se la Principessa abbia mai risieduto a Ceglie.

(tratto da uno studio della Prof.ssa Carmela Massaro, che pubblica documenti inediti conservati nell’Archivio Colonna di Subiaco) dg

Sarebbe opportuno intitolare una strada della nostra città ad Anna Colonna? Lo chiedo ai pochi lettori del mio blog.

Desidero rammentare che la principessa è già perpetuata nel ricordo popolare cegliese! Il suo nome è legato alle gustose pere che mangiamo nel mese di luglio: le pere “ianne d’angenie”. Angenio era la volgarizzazzione italiana del cognome d’Enghien. Non si conoscono esponenti femminili col nome Anna nell’albero genealogico degli Enghien. L’unica donna che si ricorda fu Maria d’Enghien, Contessa di Lecce, moglie di Raimondello Orsini del Balzo, Principe di Taranto, e madre di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, quindi suocera di Anna Colonna. Fu Regina di Napoli per aver sposato dopo la vedovanza il re Ladislao. Morì nel 1446 e la nuora Anna Colonna prese il suo posto nel castello di Lecce, da dove continuò a governare Ceglie attraverso i suoi castellani, appartenenti alla Famiglia NISI. La sua bontà verso i cegliesi fu simile alla dolcezza delle pere che maturano nel mese di luglio, tanto da portare ancora il suo nome! Accetto spiegazioni che dimostrino il contrario, perché io possa fare ammenda dell’errata interpetazione. Grazie
dg

sabato 14 gennaio 2012

CEGLIE NEL '400 (IV parte)


«La sua perifericità, unita alla geografia del luogo, non attirava nel suo territorio la penetrazione fondiaria né degli ostunesi, interessati piuttosto a estendere l'olivicoltura verso l'area costiera, né dei francavillesi i quali avevano ampi possedimenti nel territorio oritano. Questa situazione se da una parte rallentava le trasformazioni agrarie (l'olivicoltura faticherà a imporsi e, ancora negli anni Trenta del Cinquecento, nei capitoli relativi ai "danni dati" il riferimento è ai terreni cerealicoli, ai vigneti e più genericamente alle possessioni) dall'altra sottraeva il centro alle mire egemoniche delle civitates di Ostuni e di Oria, ambedue desiderose di costruirsi o conservare un distretto: Ostuni su Villanova, Oria sui tre centri di Torre S. Susanna, Avetrana e la stessa Francavilla. Le università di Avetrana e Francavilla, su iniziativa dei loro feudatari, avevano ottenuto nel secondo decennio del Quattrocento (la prima nel 1412, la seconda nel 1418) la separazione nelle funzioni fiscali e giurisdizionali da Oria, ma nel momento di forte discontinuità seguito alla morte dell'Orsini e alla disgregazione del principato, quest'ultima puntava a recuperarle. Francavilla, con un profilo economico e sociale più vivave, si oppose con forza e nei capitoli del dicembre del 1463 i cives chiesero in prima istanza di essere "exempti et immuni seu liberi de la subyectione et servitute de Oria". Le fonti non consentono di leggere la stratificazione sociale interna alla comunità; sicuramente quella cegliese non sarà stata una collettività coesa ed egualitaria ma non presenta, come alcune comunità rurali della provincia meridionale, quella gerarchizzazione con una diversa caratterizzazione nominale legata all'accesso differenziato alle terre signorili. Fra Tre e Quattrocento era emerso un gruppo di famiglie in grado di occupare lo spazio politico locale; un notabilato di medi proprietari terrieri nelle cui fila erano presenti notai e uomini inseriti di frequente nella gestione dell'università o nella piccola burocrazia signorile. Tra le famiglie che hanno maggiore visibilità nella documentazione sono i de Veneritis con un Angelo, attestato già nel 1360 come detentore di alcune terre culte e inculte ai confini con Taranto, di pertinenza del principe, un altro Angelo, notaio intorno alla metà del 400, e Antonio, esattore delle decime regie nel 1470; i Calocerio con Andrea, testis attestato nel 1360 come esperto nella controversia confinaria con Taranto per la definizione dei reciproci spazi di sfruttamento dell'incolto, Donato erario nel 1460 e Pietro, notaio nel 1470; Giovanni Vacca, sindaco nel 1459 e Antonio attestato come notaio nello stesso anno. Certamente non c'era quella partizione tra gentiluomini e popolari che invece nel 1463 è già esplicitata a Ostuni o a Mesagne, indice di un'articolazone sociale più marcata» (Prof.sa Carmela Massaro).

DOCUMENTO del 1488
Elenco delle rendite del feudo di Ceglie, sottoscritto dalla feudataria Antonella Dentice
Informacione dele intrate del castello di ceglie, terra di madamma Antonella Dentice dela provicnia di Terra d'Otranto, so' queste, videlicet:
In primis la baglia fertile et infertile unce 8.
Item la università ey tenuta dare ogne anno a lo signore unce 2.
Item per una taberna ey tenuta la università al signore uncia 1.
Item de incense tarì 20.
Item de decime de li stabele che nce accade da vedere tarì 10.
Item sonce certe cesterne de acqua che volendose vendere se nde trovaria omne anno ducati 3 o 4, ma non se vendeno perché se teneno per uso del barone.
Item de vino bucte 3 piccole come queste napoletane.
Item de vectuagli fertile et infertile thomola 50, de la quale se nde hanno da deducere le spese de la coltivatura de la vigna et recoglitura de li victuagli.
Yo sopradicta Antonella Dentice iura la sopradicta informacione essere vera et ad fede me ho soctascripta manu propria.
Antonella Dentice manu propria.


Interessante notare i cognomi cegliesi tra fine '400 ed inizi '500, molti dei quali sopravvivono ancora oggi a distanza di secoli (Venerito e Calciuri erano attestati già dalla metà del Trecento): "VENERITO, VACCA, CALCIURI, BARLETTA, NICOLETTO, TROYLO, MATERA, URSO, NIGRO, SUMA, MONACO, LEPORALE, SCARAFILO, VITALE, SCATIGNA, ALTAVILLA, APRUZZESE, SANTORO, NANNAVECCHIA, GIOJA, BIONDI, COGNANO, MARCHESE, LIGORIO, NISI, ZACCARIA, ARCERI, CLAVICA, ROMA, BALSAMO, DE FREDA, FORTE, LUPO, ALLEGRETTI, DEL LAGO, GUARINO, DEMITRI, D'ELIA, CAVALLO, RUCCIA, COSTA, MARCHETTO".


La lista dei congomi l'ho formulata tenendo conto sia delle informazioni prodotte dalla prof.sa Massaro, sia dell'elenco dei sacerdoti del Capitolo cegliese della prima metà del '500 e sia di alcuni atti di Battesimo del 1525-1529 conservati nell'Archivio Capitolare dell'insigne Collegiata di Ceglie.
Per far piacere agli estimatori della nostra microstoria riporto il più antico atto di Battesimo.


die 8 de Octob. 1525
D. MICUS LEPORARIUS BAPTIZAVIT JERONIMUS FILIUS RENNAE NIGRO QUI SUSCEPIT DE SACRO FONTE MAXT. LAURENTIO COSTA DE SERRA NOVA FRANCISCO DE SERRA NOVA ET FERNIDANDUS DA SILVA
dg