sabato 8 dicembre 2012

TELA DELL'IMMACOLATA

Collegiata di Ceglie Messapica - Tela dell'Immacolata attribuita
a Girolamo Imperato
Tempo fa il Prof. Marino Caringella mi inviò un articolo dal titolo: “Aggiunte alla fortuna di Girolamo Imperato e Fabrizio Santafede in Puglia”, pubblicato in Spicilegia Sallentina del 2010. Desidero condividere con voi alcuni stralci del suo studio che riguardano la tela dell’Immacolata esistente nella nostra Insigne Chiesa Collegiata da lui attribuita a Girolamo Imperato.
Desidero, inoltre, augurare buona festa a tutti i cegliesi sparsi nel mondo!

«Nell’ottobre del 1602 Monsignor Lucio Sanseverino, all’epoca Arcivescovo di Rossano (1592-1612), ricevette la triste notizia della prematura dipartita in Ceglie (l’attuale Ceglie Messapica) di suo fratello Fabrizio, figlio cadetto del quondam Giovanni Giacomo, barone della cittadina pugliese e IV Conte di Saponara. Il presule si vide pertanto costretto a intraprendere il non comodo viaggio che dalla Calabria Citra lo avrebbe portato in Puglia, nel castello avito, dove in qualità di procuratore di suo nipote Giovanni, erede legittimo del titolo di barone ma ancora minorenne, si sarebbe occupato per qualche tempo degli affari di famiglia. Giunto a Ceglie, Lucio si preoccupò, fra le altre cose, di far erigere nella locale collegiata di Maria SS. Assunta una cappella dove allogare la tomba dell’augusto fratello, intitolandola all’Immacolata Concezione. Nel principale tempio cittadino esisteva giò un altare con un’immagine dipinta a fresco della “Concezione della Beata Vergine Maria”, ma le sue condizioni non dovevano essere granché buone se dalla relazione della Visita Apostolica di Monsignor Camillo Borghese, effettuata sette anni prima, risultava “per vetustà già molto consunta”. Con molta probabilità, dunque, quello commissionato dal Vescovo di Rossano fu il riammodernamento dell’altare preesistente, in una chiesa che la nobile famiglia aveva già contribuito a ristrutturare sin dalle fondamenta fra il 1521 e il 1525, ovverosia ai tempi di Aurelia e Giovanni Sanseverino. La grande pala dell’Immacolata issata sull’altare omonimo è piuttosto stereotipo che si rifà allo schema compositivo classico della Tota pulchra, ripetuto senza troppo varianti in tante pale di analogo soggetto: la Vergine è posta al centro, circonfusa da un alone di luce; ha i capelli biondi sciolti sulle spalle, una corona sul capo, le mani giunte in pregiera, lo sguardo rivolto verso l’alto. Indossa la tradizionale veste porpora e il maphorion blu; i piedi poggiano su una falce di luna, citazione della “donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi…” così come compare nella visione dell’Apocalisse di Giovanni Evangelista (Ap 12, 1-2). Manca il drago, simbolo del male, al quale, sempre secondo la visione dell’apostolo, la Vergine schiacciò la testa trionfando sul peccato originale; un’assenza certamente intenzionale, tesa ad escludere nella raffigurazione ogni riferimento al dramma del peccato. Ai fianchi di Maria, in due file simmetriche, si snoda il didascalico corredo di simboli desunto dalle Litanie mariane, ciascuno con il proprio cartiglio identificativo. Anche i due angeli ai suoi piedi, poggianti su una soffice coltre di nuvole, erano destinati a portare ciascuno un simbolo biblico dell’Immacolata (tra le mani di quello di sinistra di chi guarda si riconosce lo speculum sine macula); questi ultimi, però, sono un’aggiunta e, fortunatamente, col tempo vanno facendosi  sempre più evanescenti. Appartiene, invece alla composizione originale il Dio Padre raffigurato nella centina come un vegliardo, con una mano appoggiata sul globo terracqueo e l’altra in atto di benedire. La sua presenza nell’economia della tela in argomento allude all’assunto teologico della Chiesa secondo cui la sapienza della Vergine discende dalla divina infusione di scienza e conoscenza attuata all’atto del suo straordinario concepimento. Una straordinarietà, peraltro, rimarcata dal cartiglio, retto dai due angeli posti ai fianchi del Creatore e recante la citazione del cantico di Cantici (Ct 4,7) Tota pulchra es amica mea et macula non es in te.
Collegiata di Ceglie Messapica- statua lignea dell'Immacolata
particolare
Contrariamente a quanto finora pubblicato, oltre che asserito nella relativa scheda ministeriale, l’ancona non è cosa settecentesca: se si eccettuano le pesanti ed evanescenti ridipinture del margine inferiore (come già detto, un’addizione alla tela originale), le caratteristiche formali di quanto non interessato dai successivi interventi permette, infatti, di anticiparne la cronologia al più agli inizi del Seicento e di riferirla plausibilmente alla fase di rifacimento dell’intera cappella patrocinata, come detto, dal vescovo Sanseverino. Ignoto rimane l’autore, la cui firma, qualora presente, potrebbe celarsi sotto le ridipinture, se non è stata addirittura obliterata dalla rifilatura della tela, che, almeno nelle parti laterali, ha dimensioni più piccole di quelle originarie, come denunciato dai cartigli delle litanie lauretane, decurtati in più punti. Tuttavia, la qualità sostenuta e il caratteristico modus pingendi della pala valgono quanto una firma, inducendomi a proporre l’inclusione del dipinto cegliese nel nutrito novero delle Immacolate prodotte da Girolamo Imperato (1550 ca. – 1607). Seppur con minime varianti, la figura della Vergine ripete invero quella da lui realizzata solo qualche anno prima per la chiesa di San Francesco d’Assisi a Castellamare di Stabia: affine è la postura, come pure il modo di panneggiare, col medesimo incavarsi del manto in un’ampia falcatura sulla quale la luce indugia, creando caratteristici effetti di chiaroscuro. Se ci sofferma poi sul volto dell’angelo alla sinistra dell’Eterno, si converrà come letterale sia stata la citazione di uno dei tanti angeli languidi e sospirosi dipinti nell’incorniciatura del soffitto di Santa maria Donnaregina a Napoli, di cui è stata recentemente confermata l’autografia imperatesca.
Collegiata di Ceglie Messapica - Statua lignea dell'Immacolata
Qualora un auspicabile restauro eliminasse le condizioni di pesante ossidazione della vernice nelle quali versa il quadro cegliese, potrebbe riemergere appieno la “materia cromata chiara, luminosa” che fu il tratto essenziale  di quel “sofisticato colorista” quale fu l’Imperato e che ora appena si intuisce. Se ci si sofferma, invece sul tono della composizione, il quadro cegliese risulta più austero rispetto a quello campano: sfrondato della pletora di festanti creature angeliche e da ogni possibile capriccio manierista, l’eloquio si fa qui più asciutto e gli accenti più marcatamente devozionali…»

2 commenti:

Giacomo ha detto...

Buona Festa!

Giacomo ha detto...

Carissimo ti giungano i miei auguri di Buon Natale del Signore da parte mia della mia famiglia e dell'amico Carolemico di San Michele che non riesce a raggiungerti via web in questi giorni.