domenica 25 novembre 2012

CIRCUMSCRIPTIO PHEUDI TERRAE CELIARUM DEL GALDO (4)

 
Largo Oliva ex Speziaria
Continuiamo la lettura del documento notarile del 1760, ci eravamo fermati ai Palmenti di Natalicchio oggi giungeremo nelle contrade di Giovanniello e Camarda.
«…da quel luogo comincia un muro a crudo sano; e misurandosi sempre per linea riguardante ponente, dopo passi 451, termina il confine di Boccadoro per tramontana ed il demanio di Natalicchio per gerocco; incontrandosi un muro divisorio meridionale, per dove s’introduce alli demani aperti della Signora Vita Lucia Oliva, che fanno confine con la linea per parte di gerocco e li beni del Signor Aroldi d’Ostuni, appartenenti alla Masseria detta Brizio, che fan confine alla linea sudetta per parte di tramontana. Dopo qual distanza, finendo il muro, si camina passi 120 per un limite coverto chiamato lo Petraro, che è divisorio tra detti due possessori, da dove segna il camino per una voltara, che serpeggiando, ora verso ponente, ora verso tramontana, facendo angolo a diverse parti tra segni di limite, Specchiette, ed altri segnali, dopo passi 490 s’incontra una pietra fissa in terra, naturalmente di figura irregolare, circoscritta di macchie di restinco o siano frasche, larga due palmi, dove più dove meno. E quivi li esperti sudetti, facendo fermare la misura, coll’assistenza de’ Signori Deputati e Procuratori, riconobbero la detta pietra e la trovarono segnata con un antichissimo segno di Croce scolpita in detta pietra, che dichiararono in nostra presenza essere la detta pietra segno certo ed evidente, e confine perenne ed irrefragabile, da loro non solo per tale tenuta da che ebbero uso di ragione, ma anche per tale a loro insegnata dalli vecchi di detta Terra di Ceglie ed Ostuni, senza che giammai vi fusse stata memoria di contrasto. In comprova di che, esso magnifico Principalli fece chiamare i due massari attuali, cioè uno del Feudo di Ceglie, che è Massaro della Signora Donna Vita Lucia Oliva, e l’altro del Feudo di Ostuni, e proprio della Masseria detta Brizio, di detto Signor Aroldi. Li quali portatisi in nostra presenza e domandati da noi, “che cosa dinotava la Croce predetta impressa sopra detta pietra viva?”. Ci risposero e dissero concordemente, essere quello il vero segno, che per quella parte divide il Feudo di Ceglie da quello di Ostuni, rapportando molti altri consimili segni, che devono trovarsi nella confine sudetta e specialmente in luoghi, dove il confine è ascoso e né si distingue da lemiti o pareti. Attestando fermamente che la legge del sudetto segno è tra loro inviolabile e s’ha per generale distintivo. Di maniera che o si trova in pietre fisse o in pontime o in tronchi d’alberi, si considerano asseverontemente per titolo perenne, fineta incontrastabile e segno irrefragabile delle confinazioni. Per il che volendo le dette parti, in detto loro rispettivi nomi, procedere cautelatamente, acciò l’assegnazione, come soprafatta, rimanesse sempre ferma, trovandosi dalla parte di levante a detta pietra, una Specchia sotto d’un albero di fragno, vollero che si misurasse la distanza da detta Specchia alla detta pietra segnata. Locché eseguendosi fu ritrovata la distanza in passi diece. Per cautela delle parti richiesero noi sudetti Reggj Giudice a Contratti, Notare e Testimoni, che di ciò n’avessimo dovuto fare publico atto. (…)
Masseria Gaetano Oliva vista da Monte Calvo
E non tralasciandosi il proseguimento del detto camino dal Signor Principalli s’assegnò la linea confinale verso ponente, dove fissandosi lo squadro dalli sudetti Compassatori, si ripigliò la misura. E dopo passi 29 di linea aperta, tra macchie, pietre e spine, fermarono sopra un’altra pietra naturale fissata in terra, anco in figura irregolare, di larghezza palmi tre, dove più dove meno, segnata ab antiquo col solito segno della Croce, che parimente dinotorono essere titolo di confine tra li detti Feudi, che chiamava in distanza un’altra simile pietra, segnata nella medesima maniera, e da detto luogo indirizzando il camino verso ponente, per linea aperta tra macchie, sterpi, spine e mucchi di pietre, si fanno passi 200 e termina la confinazione di Aroldi dalla parte d’Ostuni e dalli due lati di gerocco e tramontana confinano li beni di detta Donna Vita Lucia Oliva. Da quel punto salendo per murgie e calando per valli, dopo passi 146, dentro una macchia di ristinco, si trovò l’altra pietra fissa in terra, segnata come sopra colla Croce, che chiamava per confine li Curti della Masseria di Giovanniello. Com’infatti caminando per passi 55, tra macchie, si giunge all’angolo delli Curti sudetti di Giovanniello, per dove facendosi altri passi 68, si trova a piedi del muro dalla parte di gerocco, un’altra pietra fissa, segnata similmente come sopra. E caminandosi per passi 74 si terminò li Curti predetti di detta Masseria ad un muro di chiusura divisorio, che cala verso gerocco. E nel punto di detto muro a tenore d’assignazione fatta da esso Magnifico Principalli, colla direzione dell’esperti sudetti, si fissò lo squadro per proseguirsi la linea verso ponente, dinotando li Periti per segno li Curti detti di Papa Ciccio, che erano siti in distanza. E misurandosi per quella parte, dove si dinotava lo squadro, sempre per linea aperta, intersecando murgie, serri ed una valle, tra li beni del Beneficio della Natività da due lati tramontana e gerocco, si fecero passi 230, sino al fondo d’un vallone, che attacca con detti Curti di Papa Ciccio da gerocco. Quivi s’incontra un muro che divide la valle della murgia e li Feudi Cegliese e Ostunese, cominciando a confinare la linea per la parte di Ceglie li beni dell’Abbade Don Cataldo Santacroce. E stando le cose in tale stato, essendo già le ore ventitre della sera, non potendosi più proseguire detto camino e misura, per la notte sopraveniente, concordarono esse parti che si dovesse il di più riserbare per il giorno seguente e col consenso di tutti si sospese il camino…» (continua). dg
Masseria Monte Calvo
Dalla lettura di questa pagina si nota che all’epoca, la Commissione incaricata per la confinazione, ebbe dei seri dubbi circa il limite tra il feudo di Ceglie e quello di Ostuni quando giunse nella vasta area tra la Masseria Monte Calvo, di cui faceva parte la Masseria di Donna Vita Lucia Oliva (oggi Masseria Gaetano Oliva - territorio di Ceglie) e la Masseria Albrizito (Brizio – territorio di Ostuni). L’assenza di muri a secco e la graduale trasformazione dei terreni incolti stava cancellando i segni medioevali lasciati nel 1120 al tempo dei Normanni. Agli inizi dell’800, circa 50 anni dopo la misurazione fatta dalla Commissione del 1760, il dubbio si fece atroce, quando si dovette dirimere la questione della registrazione di buona parte dei terreni della masseria di Donna Vita Lucia Oliva. La querelle fu risolta in favore di Ceglie e tutti quei terreni furono registrati nel nostro Catasto. Grazie a quella disputa, a tutt’oggi, abbiamo in copia il documento importantissimo del 1120. 

Masseria San Paolo vista da Monte Calvo
Purtroppo, attualmente la contrada denominata “Pezza di Ferro” ed altri terreni di contrada “Lama Favuzza”, che una volta facevano parte del demanio della Masseria Gaetano Oliva, si trovano inspiegabilmente registrati nel Catasto di Ostuni e fanno parte di quel territorio comunale.
Chi volesse leggere la sentenza del 1811 può andare su questo sito:
 Antologia a cura di Pasquale Elia.

Qui pubblico un documento del 1497 conservato nel Libro Rosso di Ostuni:

“Oratoris hispani — Magn. viri consiliarii nostri fideles dilecti:
el Magn. Ambasciatore Hispano utile Signore de Hostuni ne ha exposto che tra la Università de dicta cita et lo Signore utile de Ceglie è più tempo è una certa differentia de confinibus, supplicandone provedamo che ciascuna de le parte mande li arbitri et le scripture hanno super faciem loci, et concordandose serrà bene, et quando no ce habiate da mandare voi alcuno homo da bene che intese le rasone de ciascuna de le parte ministre justicia; la supplicatione del quale havendo noi admessa, ve dicimo et ordinamo che providate le predicte università mandeno loro arbitri et scripture hanno super faciem loci, et concordandose tra ipsi serrà bene, et quando no ce manderite uno vostro homo che intenda le rasone de l’una parte et l’altra, et li ministre justicia, et questa e la voluntà nostra.
Dat. in Castris nostrìs felicibus contra Dianum XII novembris MCCCCLXXXXVII —
Rex Federicus — Vitus Pisanellus – Hidruntino”.

(cliccare sulle foto per ingrandirle)

mercoledì 7 novembre 2012

IL CONVENTO DI SAN DOMENICO

 
Dopo aver notato sul blog dell'amico Mimmo C.A. Barletta (ahiceglie) una notizia inesatta circa la datazione dell’immobile, che per circa 2 secoli ha ospitato il Municipio di Ceglie Messapica, mi permetto di pubblicare alcune note della Platea del 1744 dei PP. Domenicani di Ceglie, conservata nell’Archivio di Stato di Brindisi, dalle quali si evince quando i Domenicani si trasferirono nel convento nuovo e quando fu costruita l’attuale chiesa di San Domenico.

vista del convento dei Domenicani di Ceglie
 «...Si era cominciata una fabrica per un convento di Donne Monache, ove al presente è questo convento e qui proseguirono a fabricare e ci fecero il nuovo convento come oggi è; e entrarono i Padri ad abitarlo nel 1682. Il convento vecchio si cedé all’Università e Capitolo acciò servisse per Spedale degli Poveri, stanto che l’Università e i Capitolari non volevano si facesse questo nuovo convento e con questa cessione si contentarono. Li Padri li concessero la chiesa colla metà del cortile, con quattro camere, due soprane e due sottane, si riserbarono l’uso alla cisterna che sta entro la chiesa con farsi una apertura al muro della chiesa per l’uso di detta cisterna. E se mai di detto luogo concesso per Ospedale dei Poveri se ne facesse altro uso, la donazione è nulla e ponno li Padri ripigliarsi il tutto, così si dice in un consiglio fatto nel 1662, di cui se ne conserva copia segnata littera F n° III. Le case riservatesi dagli Padri le vendettero all’Abbate Vincenzo Lamarina ed il ritratto s’impegnò nella nuova chiesa nel 1688.
facciata della chiesa di San Domenico
…Ha questo convento un chiesa bellina a tre navi, fatta in questo secolo dagli Padri, stante quando nel 1682 entrarono gli Padri in questo convento vi era una chiesa molto piccola e perciò pensarono fare la presente quale oggi è in tutto compiuta».
 
facciata principale della chiesa delle "Donne Monache"
Il convento per le “Donne Monache” fu iniziato tra il 1610 ed il 1615, dopo alterne vicende, esso restava ancora incompiuto verso il 1660! Incaricato della costruzione fu l’Abate Sebastiano Calciuri, il cui nome compare nella Visita Pastorale del 1627, fatta dal Vescovo oritano Mons. G. Domenico Ridolfi. I Padri Domenicani, dopo averlo completato, vi si trasferirono nel 1682, per la permuta fatta sia con l’Università e sia col Capitolo della Collegiata, ai quali cedettero parte del vecchio convento, che fu utilizzato come "ospedale per i poveri", e la chiesa medioevale di San Giovanni Evangelista.
L’attuale  chiesa di San Domenico iniziata nel 1688 fu completata agli inizi del 1700, in essa si trova inglobata l'antica chiesa delle "Donne Monache". A quanto sembra l'attuale facciata è rimasta incompiuta, essa è stata fabbricata con conci di pietra alternata a conci in carparo. dg
facciata laterale della chiesa delle "Donne Monache"