domenica 23 dicembre 2012

CIRCUMSCRIPTIO PHEUDI TERRAE CELIARUM DEL GALDO (5)

Veduta della Chiesa Collegiata e del castello dal terrazzo di casa di mia zia
Continuiamo il percorso dei confini del territorio cegliese da contrada Giovanniello sino a contrada Campo Orlando.
«Ed albescendo il giorno 19 novembre corrente anno 1760 proseguendo  esso Magnifico Principalli le medesime antecedenti richieste a noi Reggj Giudice a Contratti, Notare e Testimonj, affinché prestato avessimo la nostra assistenza, intervento e presenza, alla continuazione della Misura e circoscrizione della circonferenza ed estenzione di detto Feudo di Ceglie, ci conferimmo alla Lama detta dell’Abbate Santacroce in territorio, pertinenze e distretto di detto Feudo di Ceglie, e propriamente nel principio d’un muro fabricato a crudo, che tira verso ponente, donde la sera antecedente c’eravamo partiti per essersi sospeso detto camino. Quivi trovatisi presenti li sudetti Magnifici Principalli e Lopresto, Procuratori ut supra, li Magnifici Vitale e Greco, colli stessi di loro periti e compassatori, volendo continuare il camino dallo stesso luogo, fecero riconoscere il segno dall’esperti lasciato. Ed in nostra presenza ritrovarono il detto muro col mucchio di pietre e segno di croce di frasche niente spostato, ma nell’istesso  luogo appunto, dove l’avevano situato. Quivi fissatosi lo squadro verso ponente per linea sopra muro, che è situato nel fondo della valle,  e fa argine il suo camino alla scoscesa della murgia, facendo passi 196 s’è arrivato ad un angolo, che chiude intieramente il vallone sudetto ed è principio d’una lama, che tiene per confine acquapendente il Feudo d’Ostuni. E caminando lama lama, per passi 288, termina la medesima colli beni di Santacroce e cominciano li beni de Padri Domenicani di Ceglie da tramontana e gerocco. Lacché si dinota in detta valle con una pietra piantata, riconosciuta dall’esperti per confine tra detti possessori. E facendosi dalla detta pietra passi 30, si trova un muro, che chiude una chiusura de’ Padri Domenicani in Feudo d’Ostuni. Per qual muro, caminandosi lungo la lama sopra la linea del muro, si fanno passi 150, dove terminano li beni de’ Padri Domenicani da levante e cominciano dallo stesso vento li beni della Masseria detta di Santo Polo, posseduta da Leonard’Antonio  Casaura di Martina; per li quale salendosi e calandosi per una collina per passi 100, s’arriva all’angolo d’una chiusura de’ Padri Domenicani, vendutagli dal Signor Duca di Ceglie, dal qual’angolo salendosi parete parete, per linea retta verso tramontana, per passi 155 e, dalla cima della murgia, calando per passi 63 s’arriva ad una lama, che camina per muro con linea tortuosa, curva ed inclinante alla parte di tramontana per passi 334, dove s’incontra un muro della vigna di Francesco d’Angelo Ligorio, che fa fronte alla linea antecedente. Dal qual luogo, caminandosi per linea retta verso tramontana, lungo il muro di detta linea, che divide le chiusure di San Polo da levante e detta vigna di Ligorio ed altre vigne di Ceglie da ponente, dopo passi 288, terminato li beni di San Polo in un’angolo, che dimostra la linea della confine verso ponente, e cominciando passi 34
Masseria Genovese anticamente Cristofaro
s’incontra una specchia verso tramontana della linea e s’entra in una lama, per la quale caminandosi passi 233 s’arriva al demanio detto di Cristofaro e s’arriva alla strada Carrese che da Ceglie Va in Ostuni, da dove la linea camina sopra il muro, che divide le chiusure di Cristofaro. E dopo passi 144 si trova il segno d’una cisterna detta della Chianca, che resta a tramontana della linea. E successivamente caminandosi per passi 90 di lama, s’incontra la chiusura olivata di Cristofaro. E misurandosi altri passi 202, sempre per beni murati di detto Cristofaro, entra la linea nelli demani de’ Signori Epifani e camina per passi 100. Dopo li quali ripiglia nuovamente il camino della linea  sopra li detti beni di Cristofaro per passi 195, trovandosi nel camino un segno, una fica antica, che sta su la linea dalla parte di tramontana. E seguitando la confine per linea tortuosa e serpeggiante sopra il muro delle vigne di molti naturali di Ceglie, dopo passi 230, entra la linea tra li demani di Cristofaro detti dell’Abbate Ventura, per dove si fanno passi 196 e s’incontrano le vigne dette di Campo Orlando e la chiusura della Madroccola del Signor Duca di Ostuni» (continua).dg
Olivo millenario in contrada Pere Rosse anticamente Conella
Commento
Il Rogito, come per altre zone, non ci ha tramandato la toponomastica del nostro territorio lungo questo confine, ma solamente i nomi dei possessori, i nomi di due masserie del territorio di Ostuni: San Paolo (San Polo) e Lama Troccolo (Madroccola) e di una contrada di Ceglie: Campo Orlando.
Quali erano i nomi di queste contrade? Consultando il Catasto antico del 1603 veniamo a sapere che:
a) la Lama dell'Abbate Santacroce corrisponde agli antichi demani della masseria Fragniti;
b) i "beni dei Padri Domenicani di Ceglie" corrispondono all'antica masseria de li Fornelli posseduta da Giovanni Cognano, più volte Sindaco di Ceglie negli ultimi 30 anni del 1500. Alla sua morte questi, perché senza figli, lasciò tutti i suoi beni alla Confraternita del Rosario. Obbligò la Confraternita a costituire in perpetuo la dote per due "zitelle povere". Agli inizi del 1700 la Confraternita fu soppressa dal Vescovo Francia e tutti i beni vennero assegnati ai domenicani, i quali continuarono ad eseguire le volontà testamentarie del Cognano fino al 1809, quando a causa delle leggi eversive furono espulsi da Ceglie. Nel corso del XVII secolo la masseria mutò nome e venne chiamata "masseria dei Maritaggi" o del "Rosario". Il suo antico territorio corrisponde all'attuale masseria Fragniti Piccolo e a parte di quella denominata "Casina Vitale";
Palazzo Cristofaro
c) il Demanio detto di Cristofaro, che attualmente corrisponde alle contrade Casina Vitale, Genovese e Padula, anticamente aveva altri nomi e comprendeva varie contrade più piccole: Conella, Morrella, Lama del Ponte, Foggia di Ferrantello, Fiore Altavilla, Todaro, Bellovidere.
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Cappella della Nunziatura Apostolica in India - Natività
Colgo l'occasione per augurare a tutti gli amici che seguono questo blog, ai cegliesi sparsi per il mondo, gli auguri più sinceri di BUON NATALE e di FELICE ANNO NUOVO.
Vi ricorderò nella notte santa ai piedi di Gesù Bambino.
Preghiamo (dal Messale):
Dio onnipotente ed eterno,
che nella nascita del tuo Figlio
hai stabilito l'inizio e la pienezza della vera fede,
accogli anche noi come membra del Cristo,
che compendia in sé la salvezza del mondo.
Egli è Dio, e vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen 


sabato 8 dicembre 2012

TELA DELL'IMMACOLATA

Collegiata di Ceglie Messapica - Tela dell'Immacolata attribuita
a Girolamo Imperato
Tempo fa il Prof. Marino Caringella mi inviò un articolo dal titolo: “Aggiunte alla fortuna di Girolamo Imperato e Fabrizio Santafede in Puglia”, pubblicato in Spicilegia Sallentina del 2010. Desidero condividere con voi alcuni stralci del suo studio che riguardano la tela dell’Immacolata esistente nella nostra Insigne Chiesa Collegiata da lui attribuita a Girolamo Imperato.
Desidero, inoltre, augurare buona festa a tutti i cegliesi sparsi nel mondo!

«Nell’ottobre del 1602 Monsignor Lucio Sanseverino, all’epoca Arcivescovo di Rossano (1592-1612), ricevette la triste notizia della prematura dipartita in Ceglie (l’attuale Ceglie Messapica) di suo fratello Fabrizio, figlio cadetto del quondam Giovanni Giacomo, barone della cittadina pugliese e IV Conte di Saponara. Il presule si vide pertanto costretto a intraprendere il non comodo viaggio che dalla Calabria Citra lo avrebbe portato in Puglia, nel castello avito, dove in qualità di procuratore di suo nipote Giovanni, erede legittimo del titolo di barone ma ancora minorenne, si sarebbe occupato per qualche tempo degli affari di famiglia. Giunto a Ceglie, Lucio si preoccupò, fra le altre cose, di far erigere nella locale collegiata di Maria SS. Assunta una cappella dove allogare la tomba dell’augusto fratello, intitolandola all’Immacolata Concezione. Nel principale tempio cittadino esisteva giò un altare con un’immagine dipinta a fresco della “Concezione della Beata Vergine Maria”, ma le sue condizioni non dovevano essere granché buone se dalla relazione della Visita Apostolica di Monsignor Camillo Borghese, effettuata sette anni prima, risultava “per vetustà già molto consunta”. Con molta probabilità, dunque, quello commissionato dal Vescovo di Rossano fu il riammodernamento dell’altare preesistente, in una chiesa che la nobile famiglia aveva già contribuito a ristrutturare sin dalle fondamenta fra il 1521 e il 1525, ovverosia ai tempi di Aurelia e Giovanni Sanseverino. La grande pala dell’Immacolata issata sull’altare omonimo è piuttosto stereotipo che si rifà allo schema compositivo classico della Tota pulchra, ripetuto senza troppo varianti in tante pale di analogo soggetto: la Vergine è posta al centro, circonfusa da un alone di luce; ha i capelli biondi sciolti sulle spalle, una corona sul capo, le mani giunte in pregiera, lo sguardo rivolto verso l’alto. Indossa la tradizionale veste porpora e il maphorion blu; i piedi poggiano su una falce di luna, citazione della “donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi…” così come compare nella visione dell’Apocalisse di Giovanni Evangelista (Ap 12, 1-2). Manca il drago, simbolo del male, al quale, sempre secondo la visione dell’apostolo, la Vergine schiacciò la testa trionfando sul peccato originale; un’assenza certamente intenzionale, tesa ad escludere nella raffigurazione ogni riferimento al dramma del peccato. Ai fianchi di Maria, in due file simmetriche, si snoda il didascalico corredo di simboli desunto dalle Litanie mariane, ciascuno con il proprio cartiglio identificativo. Anche i due angeli ai suoi piedi, poggianti su una soffice coltre di nuvole, erano destinati a portare ciascuno un simbolo biblico dell’Immacolata (tra le mani di quello di sinistra di chi guarda si riconosce lo speculum sine macula); questi ultimi, però, sono un’aggiunta e, fortunatamente, col tempo vanno facendosi  sempre più evanescenti. Appartiene, invece alla composizione originale il Dio Padre raffigurato nella centina come un vegliardo, con una mano appoggiata sul globo terracqueo e l’altra in atto di benedire. La sua presenza nell’economia della tela in argomento allude all’assunto teologico della Chiesa secondo cui la sapienza della Vergine discende dalla divina infusione di scienza e conoscenza attuata all’atto del suo straordinario concepimento. Una straordinarietà, peraltro, rimarcata dal cartiglio, retto dai due angeli posti ai fianchi del Creatore e recante la citazione del cantico di Cantici (Ct 4,7) Tota pulchra es amica mea et macula non es in te.
Collegiata di Ceglie Messapica- statua lignea dell'Immacolata
particolare
Contrariamente a quanto finora pubblicato, oltre che asserito nella relativa scheda ministeriale, l’ancona non è cosa settecentesca: se si eccettuano le pesanti ed evanescenti ridipinture del margine inferiore (come già detto, un’addizione alla tela originale), le caratteristiche formali di quanto non interessato dai successivi interventi permette, infatti, di anticiparne la cronologia al più agli inizi del Seicento e di riferirla plausibilmente alla fase di rifacimento dell’intera cappella patrocinata, come detto, dal vescovo Sanseverino. Ignoto rimane l’autore, la cui firma, qualora presente, potrebbe celarsi sotto le ridipinture, se non è stata addirittura obliterata dalla rifilatura della tela, che, almeno nelle parti laterali, ha dimensioni più piccole di quelle originarie, come denunciato dai cartigli delle litanie lauretane, decurtati in più punti. Tuttavia, la qualità sostenuta e il caratteristico modus pingendi della pala valgono quanto una firma, inducendomi a proporre l’inclusione del dipinto cegliese nel nutrito novero delle Immacolate prodotte da Girolamo Imperato (1550 ca. – 1607). Seppur con minime varianti, la figura della Vergine ripete invero quella da lui realizzata solo qualche anno prima per la chiesa di San Francesco d’Assisi a Castellamare di Stabia: affine è la postura, come pure il modo di panneggiare, col medesimo incavarsi del manto in un’ampia falcatura sulla quale la luce indugia, creando caratteristici effetti di chiaroscuro. Se ci sofferma poi sul volto dell’angelo alla sinistra dell’Eterno, si converrà come letterale sia stata la citazione di uno dei tanti angeli languidi e sospirosi dipinti nell’incorniciatura del soffitto di Santa maria Donnaregina a Napoli, di cui è stata recentemente confermata l’autografia imperatesca.
Collegiata di Ceglie Messapica - Statua lignea dell'Immacolata
Qualora un auspicabile restauro eliminasse le condizioni di pesante ossidazione della vernice nelle quali versa il quadro cegliese, potrebbe riemergere appieno la “materia cromata chiara, luminosa” che fu il tratto essenziale  di quel “sofisticato colorista” quale fu l’Imperato e che ora appena si intuisce. Se ci si sofferma, invece sul tono della composizione, il quadro cegliese risulta più austero rispetto a quello campano: sfrondato della pletora di festanti creature angeliche e da ogni possibile capriccio manierista, l’eloquio si fa qui più asciutto e gli accenti più marcatamente devozionali…»